Mentre stai scrivendo il tuo romanzo, sai riconoscere la differenza tra fabula e intreccio?
È una definizione basilare, ma importantissima, che spesso viene sottovalutata già in fase di scalettatura del romanzo.
La fabula indica gli elementi in ordine cronologico che compongono la tua narrazione, quindi gli eventi nell’ordine ti tempo reale. In narratologia si può definire anche “tempo della storia”, ovvero quanto tempo effettivo – in anni, mesi, giorni, ore, minuti, secondi – dura la narrazione, gli eventi che vi capitano, le azioni dei personaggi, i dialoghi e simili.
L’intreccio invece definisce l’ordine degli avvenimenti in cui tu decidi di disporre arbitrariamente (e, si spera, con un senso!) gli eventi della fabula all’interno della narrazione. In narratologia può definirsi “tempo del racconto”, ovvero il tempo “percepito” nella storia. Ad esempio, se un romanzo copre complessivamente un arco temporale di un anno, è possibile sommariare alcune settimane o anche alcuni mesi in poche pagine o paragrafi, concentrandosi ovviamente sui giorni/periodi che ci interessa sviscerare (a meno che tu non sia Proust, allora puoi farci vedere un minuto alla volta!)
L’intreccio compone quindi gran parte della tua struttura narrativa, del ritmo e della tensione del tuo romanzo, nonché gran parte della sua originalità. Inoltre, gioca con la disposizione dei tre atti narrativi, gli unici componenti essenziali di una storia che si possa definire tale (agevolo sotto uno schemino).

Per riuscire però a disporre bene l’intreccio all’interno del tuo romanzo è fondamentale conoscere a menadito la fabula. Sapere quindi quando, nel tempo della storia, si verificano determinati eventi (tradimenti, gioie, nascite, rivelazioni ecc.) e decidere quando è il momento giusto di svelarli al lettore, ovvero quando inserirli all’interno dell’intreccio. Per questo “giocare e spezzare” i tre atti (inizio, svolgimento e fine) in più punti è importante: dà la possibilità di mantenere segreto o riserbo su un evento e di svelarlo nel momento in cui riteniamo più opportuno, per varie ragioni, farlo sapere a chi ci legge.
A queste due definizioni se ne aggiunge una terza complementare: il presente narrativo.
Abbiamo detto che ogni storia è composta da una fabula – ordine cronologico in cui si svolgono i fatti che si vogliono raccontare – e dall’intreccio – ovvero l’ordine in cui tu decidi di esporre i fatti all’interno del romanzo.
La fabula custodisce anche alcuni elementi che possono comparire all’interno dell’intreccio sotto forma di prolessi o analessi, dunque digressioni o anticipazioni. Questi elementi non fanno parte del presente narrativo (per questo alcuni sostengono che i flashback, se non ben strutturati e motivati, sono noiosi).
Ma anche elementi come i flussi di coscienza, parti sommariate dal narratore (come quelle dei mesi trascorsi, ad esempio) o racconti fatti dai personaggi, che sono parte dell’intreccio, al contrario non compongono il presente narrativo.
Per presente della narrazione, infatti, si intende il momento in cui il personaggio agisce per la storia e nella storia, all’interno dell’intreccio, attraverso dialoghi, azioni vere e proprie, movimenti o pensieri. Ovviamente, il presente narrativo non ha nulla a che fare con il tempo verbale scelto né con la focalizzazione!
Essere in grado di individuarlo mentre scrivi il tuo romanzo è fondamentale per capire dove stai ponendo la maggiore attenzione e su cosa, chi ti legge, dovrà concentrarsi maggiormente per seguire il filo della storia. Facciamo un esempio puntiglioso con questo estratto.
In grassetto trovi le parti attribuibili al presente narrativo.
“Arrivammo a casa intorno alle sette di sera. Quella di accompagnarmi a Milano era stata una vera eccezione per Antonio, e probabilmente quello era uno dei “tre giorni” di Martina. Salutai la mamma con un bacio mentre guardava l’ennesima puntata di Downton Abbey. «Stasera pollo?» chiese con gli occhi incollati allo schermo del televisore.
«Va bene» disse Antonio, e sparì oltre la porta della cucina.
«Anche per me» aggiunsi. Salii in camera mia. Fissai il letto disfatto da tre giorni, i quadretti con i triangoli “a tre lati più uno” che aveva dipinto mio padre, e la laurea appesa, in una cornice di pochi euro, sul muro di fianco all’armadio. Era trascorso un anno da quel giorno tutto chiffon e tacchi alti, tutto un grazie-per-questi-momenti e occhiate comiche a mia madre. Ora non aspettavo altro che venissero annunciate le date per i colloqui a tre dei licei privati che mi interessavano. Mi piaceva lavorare al negozio da Elena, certo, ma con quello che guadagnavo non potevo permettermi neanche una stanza in affitto. E io volevo trasferirmi. Non troppo lontano, ma decisamente non troppo vicino, da Bettada. Lanciai la borsa sulla sedia della scrivania e mi tolsi il cappotto, appendendolo alla maniglia della finestra.”
Ecco qui: tutti gli elementi del presente della storia (dialoghi, movimenti, descrizioni, pensieri del momento presente) compongono il presente della narrazione, appunto; le digressioni, al contrario, le anticipazioni, i sommari ecc. non ne fanno parte. Questo non significa che ciò che non compone il PN non sia comunque indispensabile (anzi!), ma saperlo riconoscere ti aiuta a gestire al meglio la tensione, il ritmo, la caratterizzazione e in generale la struttura tramistica del tuo romanzo.
Una precisazione: in alcune tipologie di testo, come il memoir o romanzi incentrati arbitrariamente sui flussi di coscienza, la distinzione non è rilevante, essendo i ricordi stessi, il passato, insomma, e le elucubrazioni, a costituire il presente narrativo.
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A presto,
Gloria


