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“Diario di un’ordinaria apatia”
di Cristina Marchiani
Editing di Francesca Colosio
Dalla finestra filtra una luce soffusa. Non la vedo, ma la percepisco, puntuale e beffarda nell’augurarmi il buongiorno.
Tengo gli occhi chiusi, nell’attesa che manchi ancora qualche minuto al suono della sveglia che invece, precisa, non si fa attendere troppo. Sollevo le palpebre e la luce del giorno estivo mi entra prepotentemente negli occhi. “Sono in ritardo” penso. Lo sforzo per alzarmi mi costa un leggero lamento, un suono sordo, gutturale, mentre il resto del mio corpo rimane in una sorta di limbo tra il sonno e la veglia. Sono le otto e trenta, ma nel mio cervello risuona incessante un unico rumore, un unico profumo, un’unica parola: caffè. E senza che io abbia deciso nulla, bensì solo assecondato il desiderio del mio organismo, mi ritrovo in cucina a preparare la moka, rigorosamente in pigiama e scompigliata.
Mentre mi accingo alla preparazione del primo pasto della giornata, una musichetta fastidiosa, cogliendomi di sorpresa, mi ricorda che c’è vita al di fuori di questa casa. Mi dirigo nella camera da letto che ho appena abbandonato e pongo fine al tormento delle suonerie preimpostate.
«Pronto?» rispondo.
«Ciao, Gaia. Riesci a partecipare alla call delle otto e trenta?»
Le conference call in tempo di smartworkingsono la pratica più simile alla tortura che esista nel nostro fortunato mondo occidentale. Accenno con poca convinzione a un problema di linea e accendo il computer, ancora rigorosamente in pigiama, scompigliata, ma munita di una tazza di caffè.
Ovviamente, l’incontro rivela fin dai primi minuti la sua completa inutilità. Viene celebrato l’ottimo risultato di un progetto al quale io ho partecipato in maniera marginale. L’entusiasmo della collega non riesce a raggiungermi; d’altronde, sono poche le cose che mi toccano. Best practice, optimization point, loss, gain… a volte mi chiedo se utilizzare parole inglesi non sia solo un modo per mascherare un pessimo italiano.
Dopo poco smetto di ascoltare e quando sento il capo progetto intessere le mie lodi, sono ormai immersa nel sito dell’Esselunga, intenta a procacciare il cibo per la settimana. Razionalizzare i tempi morti, evitando fatiche inutili, è diventato da mesi il mio obiettivo principale.
Rispondo con un distratto “grazie”, privo di vera gratitudine. Eppure, di motivi per essere grati ce ne sarebbero molti. Ad esempio, questa bella giornata di sole che io vedrò estinguersi da spettatrice solitaria e di cui mi verrà concesso solo un breve assaggio, forse in pausa pranzo, sul balcone di due metri quadrati che la Provvidenza mi ha concesso in questo piccolo appartamento.
L’incontro finisce tra saluti fintamente entusiasti e promesse di colazioni offerte che si aggiungono alla lista intitolata “Situazioni che non avverranno mai”.
La mattina continua nel suo grigiore consueto, intervallata da attacchi di fame improvvisa e chiamate disperate da parte di colleghi pigri e pieni di una boria tale che impedisce loro di imparare le più comuni formule Excel. Mi chiedo da quando, nel mondo del lavoro, saper utilizzare Microsoft Office sia diventato l’equivalente del lavoro operaio poco specializzato.
Durante la pausa pranzo, rinuncio al caffè sul balcone. D’altronde, da quando ho eliminato le piante che mi vedevo costretta ad annaffiare ogni sera, non ho molte ragioni per oltrepassare la porta finestra del salotto. E mi va bene così.
Ritornare alla mia scrivania dopo pochi minuti dalla fine del pranzo è, ormai, un gesto automatico. Mentre contemplo la possibilità di fare una passeggiata al termine della giornata, mi sono già ributtata a capofitto nell’inutilità delle mie questioni lavorative.
All’improvviso, vibra il cellulare. La luce blu rimanda l’anteprima di un messaggio:
Aperitivo stasera?
Il mio cuore inizia a palpitare. Nella completa inerzia quotidiana, la prospettiva di un incontro conviviale non programmato risulta per me eccessivamente stressante. Declino, inventando un finto impegno dal dentista.
Quando torno a concentrarmi sullo schermo del computer, sento il citofono suonare. Lo ignoro, ma quello insiste. Sbuffando, mi alzo dalla sedia non ergonomica e scopro con orrore che si tratta di mia sorella con il figlio. Lucrezia entra in casa come una furia.
«Per favore, Gaia. Devi tenere Giacomo, ho un appuntamento di lavoro.» Inutili sono i tentativi di sottrarmi a tale coercizione. Mi ritrovo, nel giro di pochi secondi, sola con un bambino di tre anni. Giacomo sorride e inizia a strillare.
Un senso di abbandono comincia fastidiosamente a farsi strada in me. Giacomo, con il menefreghismo innocente dei bambini, non mi lascia il tempo di acclimatarmi alla nuova situazione. Corre verso lo studio e si lancia con forza sulla sedia che ho appena abbandonato, rovesciando il contenuto del portapenne. Una decina di pennarelli, evidenziatori e matite si riversa al suolo. Mio nipote, sorpreso, indica il piccolo disastro. Scende dalla sua postazione e comincia a toccare gli oggetti a uno a uno, chiedendomi cosa siano. Mi metto di fianco a lui, aiutandolo a scoprire un piccolo pezzo di mondo. La semplicità del suo stupore, in contrapposizione alla mia costante mancanza di meraviglia, rompe qualcosa nell’equilibrio della casa e io inizio, finalmente, a sentire un po’ di sole sulla pelle.
L’autrice
Mi chiamo Cristina, vengo da un piccolo paese di provincia con il quale ho rapporto di odio-amore e, purtroppo, mi sto avvicinando alla fatidica soglia dei trent’anni. Nella vita lavorativa non scrivo o, meglio, scrivo dati e calcoli. Sono, però, una grande appassionata di storie e nel mio tempo libero faccio questo: guardo, leggo e invento trame. Il tutto condito da una forte passione per la bicicletta che mi rende antipatica a molti automobilisti.
IG: @___macris___
L’editor
Sono una ragazza di 25 anni e ho da poco concluso gli studi in Lingue e Letterature Europee ed Extraeuropee, specializzandomi nella letteratura inglese e tedesca e nella sua traduzione. Il mio amore per la traduzione si lega inevitabilmente a quello per la letteratura e per la lettura di testi di ogni genere e tipologia. Ho anche avuto modo di approfondire il complesso percorso che porta alla pubblicazione di un libro, e, forte della mia esperienza di lettrice di lunga data, ho deciso di mettermi in gioco nel ruolo di editor. Attraverso questa esperienza spero di esercitarmi e di orientarmi in un mondo per me relativamente nuovo, ma in cui spero un giorno di potermi muovere a livello professionale.
IG: franci_colosio
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