Esistono libri di “serie B”? Sì, e sono quelli brutti.

Nella vita puoi scrivere, riscrivere, depennare o cancellare, gualcire, lisciare, appallottolare o recuperare… fintanto che l’inchiostro e la carta lo consentono.

Sosio Giordano

Siamo onesti, tutti e tutte, almeno una volta, abbiamo pensato “questo libro non vale niente” e, capita, anche a buon ragione. Ma c’è una differenza abissale tra l’opinione (oggettiva o meno) su un libro e la denigrazione di un’intera categoria.

La riflessione che faccio oggi nasce dalla lettura di un articolo agghiacciante, per IlPost (QUI), in cui la giornalista Marta Impedovo parla di libri romance considerandoli, e cito testualmente, “… romanzi la cui trama principale è una storia d’amore, e che terminano con un lieto fine: sono solitamente libri pensati per l’intrattenimento e per una lettura molto veloce, e per questo hanno tradizionalmente uno scarso valore letterario – e quindi una prosa sciatta, personaggi poco approfonditi, problemi della struttura, sviluppi di trama prevedibili, eccetera.”

Sì, avete letto bene. E non è forse la parte peggiore dell’articolo. Ma prima di smontarlo pezzo per pezzo, vorrei fare un ragionamento.

L’ho scritto nel titolo: sì, esistono libri di “serie B”, e con questo intendo dire libri brutti che hanno effettivamente una prosa sciatta e problemi nella struttura. Voglio citare, perché facciamo nomi e cognomi, Il fabbricante di lacrime che ha avuto enorme successo internazionale, oppure Sulle tracce di Jack lo Squartatore, ma anche Twilight, la saga, oppure Cinquanta sfumature di vari colori. Chiaramente, lo devo specificare, parlo di libri brutti per me (che anche ho letto!), ma che possiedono, nonostante la componente soggettiva, degli effettivi problemi di struttura. Ma non solo romance, eh, un libro brutto, a mio parere, è anche Loro di Roberto Cotroneo oppure I leoni di Sicilia. Dunque qui va fatta un’altra distinzione: esistono libri brutti oggettivamente problematici e libri che noi consideriamo brutti ma che sono sommariamente fatti bene.

E, di nuovo, una precisazione: questi libri, pur essendo “tecnicamente scadenti” hanno accompagnato generazioni e lo fanno ancora adesso. Quando lessi Twilight ne rimasi ossessionata per un po’, come credo quasi tutte le persone che hanno seguito quella tormentata (ehm, tossica!) storia d’amore (ehm, ossessione e prevaricazione). Chiaramente, si potrebbe aprire una bella parentesi (e magari lo farò in un altro articolo) sulla problematicità di alcuni titoli nell’educazione di chi è nella fase adolescenziale, e nelle figure di riferimento che si ritrovano nei libri. Ma. Ed è un ma importante, si parla di alcuni libri, non di tutti i libri.

Ecco, qui voglio chiarire un’altra importantissima cosa; anzi, due:

– parlo di libri, non di un’intera categoria.

– parlo di libri, non di lettori e lettrici.

Dunque, specificato questo punto di vista, veniamo al nocciolo della questione, l’articolo de IlPost intitolato “È il grande momento dei romanzi rosa” di Marta Impedovo – e che grande momento.

Nell’articolo, la giornalista (laureata in Filosofia, con un Master in Comunicazione della scienza) racconta la fiera FRI – Festival del Romance – attraverso le parole di alcune case editrici, ma soprattutto attraverso sue riflessioni, e dà una descrizione alquanto terrificante di un’intera categoria, appunto quella dei libri romance. Riprendiamo la prima frase che ho citato e spezzettiamola:

“…romanzi la cui trama principale è una storia d’amore, e che terminano con un lieto fine” – primo problema: no, non tutti i libri romance posseggono un lieto fine, non siamo nella categoria favolette per bambini (e manco quelle lo hanno sempre). Il lieto fine non è un elemento propedeutico alla scrittura del romance e, a dirla tutta, nemmeno la storia d’amore con accezione “canonica”. Quante storie d’amore terminano con la morte di uno dei due? Ecco, ho detto tutto.

“…sono solitamente libri pensati per l’intrattenimento” – tutti i romanzi sono pensati per l’intrattenimento. Il romanzo è una forma di intrattenimento e di svago, questo però non significa che non ci possano essere, dietro, riflessioni profonde e rispecchiamenti nella vita di tutti i giorni.

“…e per una lettura molto veloce,” – qui, semplicemente non è vero. Pensiamo a Jane Eyre (sì, è un romanzo d’amore) oppure a Di là dal fiume e tra gli alberi di Hemingway (sì, anche questo è un romanzo d’amore) che Jennifer Guerra nel suo Il capitale amoroso definisce uno scrittore di storie d’amore. Ma pensiamo anche a Via col vento oppure a Le pagine della nostra vita o ancora a Le notti bianche. Ecco, quest’ultimo non può essere definito da nessuno una lettura veloce eppure racconta dei patemi d’amore di un giovinotto!

“…e per questo hanno tradizionalmente uno scarso valore letterario” – tradizionalmente, certo, dalla cultura patriarcale che ha relegato l’amore a frivolezze e raggiungimento di un obiettivo; tradizionalmente nella storia dell’Italia bigotta. E non solo da noi, ma ovunque, dove l’unica via di fuga delle donne era la lettura di quelli che venivano chiamati romanzetti e che invece davano la possibilità di evadere dal costrittivo universo domestico. 

“…e quindi una prosa sciatta, personaggi poco approfonditi, problemi della struttura, sviluppi di trama prevedibili, eccetera.” – e qui il problema più grande, per dirla semplice, fare di tutta l’erba un fascio. Certo, esistono prose sciatte, personaggi poco approfonditi e tutto quello che scrive Impedovo, ma queste sono caratteristiche dei libri oggettivamente brutti, non dei libri romance, non di un intero genere.

C’è un’altra parte dell’articolo che voglio citare: “Questa scarsa qualità si nota in modo particolare tra parte dei rosa pubblicati di recente, che nascono sulle piattaforme di self-publishing e per questo non vengono sottoposti a un lavoro di editing, cioè di revisione e correzione del testo da parte di un editor che lavori sul manoscritto originale insieme all’autore.”

E qui temo che l’unica motivazione sia l’ignoranza. Sì, certo, alcuni titoli (ma non solo self!) non vengono sottoposti al lavoro di editing, e quindi hanno un’incontrovertibile qualità inferiore, ma… Ma il punto è che Impodevo, di nuovo, butta tutto in un unico calderone. C’è un nesso logico, più di tutti, su cui voglio soffermarmi, ovvero: “nascono sulle piattaforme di self-publishing e per questo non vengono sottoposti a un lavoro di editing”.

E per questo. Ma non rispecchia la verità, e lo posso dire per esperienza. Il fatto che si tratti di libri self non significa in alcun modo che si tratti di libri non editati, anzi. Gli autori e le autrici investono moltissimo nel lavoro di cura dei propri testi, per alcuni casi anche più che alcune case editrici, nell’editoria tradizionale.

L’articolo, ahimè, prosegue nello stesso tono.

Cito, ancora: Always Publishing spiega: «prima i romanzi rosa avevano il 5 per cento di spazio in libreria: ora ci sono immensi tavoli dedicati al BookTok e i librai non hanno più vergogna come una volta di esporli» – la parola vergogna è vergognosa, così come l’associazione romance-BookTok è assolutamente superficiale (poiché il BookTok ha implementato un successo già esistente – più o meno dalla seconda metà del XIX secolo – non l’ha inventato), ma dato che alcune delle intervistate hanno smentito le dichiarazioni riportate, su questo non posso commentare con sicurezza.

Il qualunquismo pervade l’articolo, e anche se avrei voluto evitare di scriverne, non potevo esimermi dal dare un’opinione addentro alle dinamiche editoriali: io lavoro con le storie, e soprattutto rispetto le storie.

Chiaramente, oltre alle definizioni generaliste e tuttologhe dell’articolo, un riflesso di queste parole lo si vede nel giudizio di chi, questi romanzi, li legge: no, non si è lettori di serie B, mai, nemmeno se ti piace Fabio Volo (lo dico, eh, è una mia opinione).

Cosa ne pensate?

A presto,

Gloria

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3 risposte a “Esistono libri di “serie B”? Sì, e sono quelli brutti.”

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